Tutti i santi giorni. Un titolo bello come l’ultimo film di Paolo Virzì. Forse il migliore: dolce e profondo, potente e delicato. Il cineasta livornese racconta, apparentemente la cosa più semplice del mondo: l’amore. Quello con la “a” maiuscola, persino stucchevole a raccontarlo. Ma lo mostra nella quotidianità, con le frasi sbagliate, con gli sguardi di chi ha rinunciato a tutto o di chi non ha quanto merita, ma è felice lo stesso.
Tutti i santi giorni è una storia d’amore, ma è anche una piccola storia dell’Italia. Dei precari. Una cantante brava costretta a cantare in pub chiassosi, un latinista che fa il portiere di notte. Della procreazione assistita. In tutta la sua normalità. Dove c’è la giovane Italia che nessuno racconta. E che dopo Tutta la vita davanti, Virzì, ha capito meglio di molti altri.
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